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La carità in san Tommaso d'Aquino

Davide Damiano / 19 Jun
La radice ebraica רחם, rintracciabile nell’Antico Testamento, è alla base del termine רֶחֶם (seno materno), il quale è usato per riferirsi a Dio come רַחוּם, misericordioso. La misericordia di Dio è alla base di uno degli eventi più rappresentativi di questa caratteristica divina: l’Alleanza. Tale patto tra Dio e l’uomo è stipulato sulla base del rispetto della legge, la תּוֹרָה. Si tratta qui però di una legge il cui significato trascende quello della concezione strettamente giuridica del νόμος greco: «si tratta di tutte quelle prescrizioni, precetti, comandamenti, giudizi pronunciati dalla bocca stessa di Dio, che ne esprimono e manifestano la volontà»1. Ciò porta la legge dell’Alleanza ad estendersi a numerosissime “clausole” («contandone fino a 613»2), di cui però il centro è costituito dall’amore verso יהוה.


Per esprimere questo amore misericordioso la diffusa distinzione tra i termini greci φιλέω, εράω e αγαπάω non risulta sufficiente. Per comprendere appieno il concetto di amore veterotestamentario è necessario accostarlo con la concezione di carità, con la quale l’amore ha un rapporto di analogia.3
La carità, una delle tre virtù teologali, si distingue dalle altre due per una caratteristica singolare: è l’unica che «prima di essere una dimensione costitutiva dell’uomo, è una proprietà stessa di Dio: “Dio è Amore” (1Gv 4, 8)»4.
Massima espressione di questo amore, della carità divina è l’incarnazione del Verbo, ossia l’invio del Figlio da parte del Padre. In questa prospettiva dunque si sviluppa l’esistenza terrena-umana del Cristo: «Gesù ama il Padre (Gv 14, 21) e ama i fratelli fino al dono estremo di sé (Mc 10, 45)»5. L’incarnazione del Figlio è «sacramento»6 della misericordia di Dio.
La vita di Gesù si viene dunque a manifestare nell’ottica di una κένωσις totale nell’esistenza per l’altro, dove l’altro è sia il Padre che l’altro uomo. «Gesù di Nazareth è l’annuncio e la testimonianza escatologica dell’amore di Dio per l’uomo e dell’amore dell’uomo per Dio e per l’altro uomo»7.
Il cristiano dunque, chiamato all’imitatio Christi, ovvero all’imitatio Dei, si distinguerà dalla conduzione della propria vita in quest’ottica di «proesistenza»8, ovvero dall’agire fondato su «quella forma di esistenza ‘per gli altri’ fondata nel rapporto di singolare dedizione e obbedienza di Gesù al Padre»9.
In questo articolo ci occuperemo di approfondire la visione che della carità ha san Tommaso d’Aquino, la quale emerge primariamente dal trattato che ne fa nelle ventiquattro quaestiones e centoquarantatre articuli della sua Summa Theologiae.10
Prima di addentrarci però nell’analisi specifica del suo pensiero, risulta utile fornire una specificazione del significato del termine carità.
«Il nome sembra derivare dal greco χάρις, che significa “grazia”, “benevolenza” o dal latino carum, ossia “caro”, di “gran prezzo”. I due sensi in realtà convergono: si ama ciò che è di gran valore; ed ha gran valore ciò che si ama».11
Con questo termine si intende quindi indicare «quell’amore che è accompagnato da benevolenza, cioè, quando amiamo una persona in modo da desiderarle qualche bene»12. Questo slancio amoroso da cui scaturisce il desiderio del bene dell’altro comporta lo stabilirsi tra l’amante e l’amato di un rapporto di amicizia13, il quale può essere segnato dall’amicizia soprannaturale (divina) o naturale (umana). In senso strettamente teologico ci si riferisce alla carità come «amicizia soprannaturale e divina, più preziosa di ogni altra, che stima Dio più di ogni cosa»14.
Nella Sacra Scrittura a questo termine vengono associati principalmente tre significati: l’amore di Dio nei confronti di tutti gli uomini15; l’amore dell’uomo verso Dio16 e l’amore tra gli uomini17.

La carità di Dio verso l’uomo

I testi scritturistici riportano numerosi episodi di relazione tra Dio e l’uomo in cui Dio propone la salvezza all’umanità. Nella loro diversità tuttavia essi condividono un elemento comune: l’iniziativa è sempre divina. Ma ancor prima di trattare dell’amore che Dio elargisce all’uomo risulta fondamentale precisare la pre-eternità dell’amore divino.
1. L’amore di Dio nell’ἀΐδιον (aidion)
L’Aquinate nella sua trattazione sulla carità afferma – facendo suo il pensiero aristotelico – che «la benevolenza non è né "l'amicizia" né "l'amore", ma è "il principio dell'amicizia". Ora la carità, come si è visto, è un'amicizia. Quindi la benevolenza non si identifica con l'amore, che è l'atto della carità»18. Il Dottore angelico distingue attentamente i riferimenti terminologici a quello che sembra essere un unico concetto: «l'amicizia, secondo il Filosofo, "è piuttosto un abito", invece l'amore e la dilezione indicano l'atto, o la passione; la carità si può prendere nell'un senso e nell'altro»19. L’amore è dunque l’atto della carità ed ha una dimensione anche passionale.20
Dio, essendo «buono per essenza»21, ha in sé ogni perfezione. «Infatti ogni cosa è detta buona in quanto è perfetta»22. L’Aquinate specifica poi che una delle tre perfezioni23 di cui ogni cosa può godere è il «raggiungimento di qualcosa come proprio fine»24. Tuttavia Dio «non è ordinato ad alcun fine, ma è egli stesso il fine di tutte le cose»25.
Ora, rivelato che «Deus caritas est – Dio è amore»26, bisognerà riconoscere come perfetto questo amore, e in più bisognerà riconoscerlo come facente parte della sua stessa essenza, in quanto «non può esservi in lui alcunché di accidentale»27. Ora, essendo l’amore di Dio perfetto, esso deve necessariamente essere in atto, in quanto è evidente che ciò che è in atto sia più perfetto di ciò che è solamente in potenza. L’amore di Dio deve dunque essere da sempre in atto, e ciò significa che da sempre deve esserci in Lui la relazionalità con un tu.
In Dio è presente da sempre l’elemento della relazionalità io-tu. Non c’è stato alcun momento in cui Dio fosse solo. Ciò che infatti è proprio della carità è l’amare,28 e l’amore – specialmente se perfetto – non può essere ristretto alla sfera solipsistica.
Da ciò si può – dal punto di vista filosofico – dedurre la trinità di Dio, elemento fondante dell’amore che Dio elargirà all’uomo. Se non ci fosse infatti in Dio relazionalità in sé, non vi sarebbe potuta essere neanche relazionalità al di fuori di sé.
Ci è dunque risultato di fondamentale importanza cominciare il nostro lavoro con questa precisazione in quanto è proprio l’esistenza nell’essenza di Dio della relazionalità la condizione sine qua non del suo essere caritatevole verso l’uomo.
2. L’amore di Dio nell’αἰώνιος (aionios)
Se fin’ora abbiamo trattato dell’amore intratrinitario prima della creazione del tempo, ora è utile soffermarsi sull’amore che il Padre usa agli uomini inviando il Figlio.
Come abbiamo già specificato, l’amore «è l’atto della carità»29. Massima espressione di questo amore, dopo la lunga storia propedeutica a questo momento, è certamente l’Incarnazione. Momento in cui Dio assume la natura umana, la discesa del Verbo sulla Terra è il momento in cui Dio realizza quella salvezza piena ed integrale preparata in tutto l’Antico Testamento.
Tale evento è ad immagine della relazione che il Padre ha con il Figlio: come infatti il Padre ama il Figlio e gli dona tutto sé stesso, così il Figlio ama l’uomo tanto da donarsi totalmente a lui. Il Padre altresì ama l’uomo tanto da mandare il Figlio (a cui ha donato tutto sé stesso) a redimerlo.
L’incarnazione viene dunque a stabilirsi nel tempo come quel momento di massima espressione ed attualizzazione di quella benevolenza di Dio per l’uomo: il desiderio di bene che Dio ha per l’uomo non può che coincidere con il desiderio della donazione di sé, «sommo bene»30. Per questo, come afferma sant’Atanasio: «il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio»31.

La carità dell’uomo verso Dio

«La caritas per s. Tommaso è la virtù soprannaturale infusa da Dio nella volontà, l’atto naturale della quale è l’amore»32. Essendo dunque infusa, vede in Dio il suo autore primo. Non è una capacità meramente umana: «è la nostra funzione d’azione, ma in quanto divinizzata; siamo noi che agiamo, ma anche Dio in noi»33.
L’uomo può amare solo in virtù di quella grazia ricevuta originalmente dalla somiglianza con Dio: «E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò»34. In virtù di questa somiglianza con Dio, come avviene nella Trinità, tra Padre e Figlio, l’uomo è chiamato a rispondere al dono di Dio con la contro-donazione di sé.
Se dunque originalmente l’uomo deteneva quelle immagine e somiglianza con Dio, avendo peccato perse la somiglianza, la quale è però riacquistata in Cristo: come infatti l’uomo ha voluto insubordinarsi da Dio, così Dio ha voluto riacquistare l’uomo diventando Egli stesso uomo e riunendo dunque ciò che era stato diviso.
«Ciò che la grazia santificante fa nella nostra sostanza, la carità lo fa nella nostra volontà, funzione d’amore; essa ci consente d’amare, cioè di entrare in comunione con Dio e con gli altri, non più nella misura nostra, ma con lo stesso amore di Dio»35. Come già affermavamo nel capitolo precedente «il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio»36, e ciò è sommamente apprezzabile nel fatto che «la carità trasporta in noi, in certo modo, lo stesso amore trinitario, o meglio trasporta noi in esso»37.
Tale virtù però, pur essendo infusa e quindi avendo come autore primo la Divinità, necessita di un atto della volontà umana che risponda al dono ricevuto da Dio. Questo introduce al tema trattato nella Quaestio 23 della terza parte della Somma Teologica: la carità come amicizia. Ivi troviamo un’attenta analisi dei tre elementi costitutivi dell’amicizia, i quali risultano fondamentali per comprendere fino in fondo la concezione di carità dell’Aquinate.
Anzitutto – sostiene san Tommaso – l’amicizia è amor benevolentiae. Questo amore, come abbiamo avuto modo di ribadire più volte nel corso del nostro lavoro, è l’amore segnato dal desiderio di bene per l’altro.38 È dunque necessario distinguere la vera amicizia dalle false amicizie: quelle in cui non viene ricercato il bene dell’altro ma il bene per sé stessi. In questo senso l’amicizia può essere distinta in tre specie: l’amicizia di piacere, segnata dal piacere provato nello stare in compagnia dell’altro; l’amicizia di utilità, segnata da un vantaggio lucrato da tale relazione e infine l’amicizia di onestà, mossa da una causa superiore: Dio.39 Solo quest’ultima, che san Tommaso chiama amor benevolentiae, è amicizia vera. «La benevolenza è la dimensione della gratuità, del disinteresse, è la capacità di amare l’altra persona in quanto persona e non per l’utilità o per il divertimento che può arrecare».40 Possiamo offrire quindi una tassonomia dell’amore provato per l’altro, dividendolo in amore di concupiscenza e amore di amicizia:
«Per mezzo dell’amore di concupiscenza si attinge l’oggetto come un mezzo riferito a un fine ulteriore, mentre l’amore di amicizia conduce al suo oggetto come un fine. In altre parole, l’amore di concupiscenza, considerando gli oggetti come mezzi, li subordina alla sua propria finalità, mentre l’amore di amicizia li subordina al suo oggetto come a un fine»41.
Il secondo degli elementi costitutivi dell’amicizia è la mutua amatio, ossia la «reciprocità affettiva»42. Il rapporto di amicizia è stipulato nel momento in cui non è solo uno ad amare l’altro, ma nel momento in cui entrambe le parti vogliono il bene dell’altro, stando ovviamente alle precisazioni appena fornite. Alla benevolenza non è necessaria la mutua amatio; basta infatti che una sola delle due parti desideri per l’altro il bene. Ciò non vale però per l’amicizia, che è propriamente detta quando entrambe le parti anelano al bene dell’altro in modo mutuo e vicendevole.
Terzo elemento costitutivo è la communicatio, ovvero la partecipazione di entrambi dello stesso stato di vita. Questo terzo elemento fa da ombra all’affermazione di Aristotele secondo il quale «ogni amicizia consiste nella comunione – κοινωνία»43. L’amicizia trova quindi il suo luogo d’esistenza nella mutua partecipazione di ciò che vive l’altro. Per questo leggiamo nel Vangelo di Giovanni: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi»44. Cristo, incarnandosi, ha posto in comunione gli stati di vita divino ed umano soddisfacendo anche il terzo ed ultimo elemento necessario all’amicizia. «La communicatio su cui di fonda l’amicizia singolare fra l’uomo e Dio, non può essere che il bene divino partecipato mediante la grazia (germe della beatitudine eterna) e che si traduce nell’esercizio delle virtù teologali»45.
«Essendoci una certa comunanza dell’uomo con Dio, in quanto questi ci rende partecipi della sua beatitudine, è necessario che su questo scambio si fondi un’amicizia. E di questa compartecipazione, così parla S. Paolo: “Fedele è Dio, per opera del quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio Suo” (1Cor 1,9). Ma l’amore che si fonda su questa comunicazione è la carità. Dunque è evidente che la carità è un’amicizia dell’uomo con Dio»46.
 
Ciò su cui è dunque fondata l’amicizia dell’uomo con Dio è dunque la grazia santificante infusa da Cristo, la quale rende l’uomo partecipe della vita divina confermando l’immagine e realizzando la sua somiglianza con la Trinità.
Tuttavia ciò che più propriamente può essere definito come fondamento di questa amicizia non è la grazia santificante, quanto più invece la vita divina con la conseguente beatitudine comunicategli da Dio stesso, le quali gli sono date come anticipazione su questa terra ma che saranno godibili appieno solo nella vita celeste.47 «In altre parole, il fondamento prossimo dell’amicizia divina è la beatitudine divina a noi comunicata, mentre il fondamento remoto è la grazia santificante»48.

La carità tra gli uomini

Da quanto emerso fin’ora è evidente che la carità sia primariamente attribuita a Dio e solo in secondo luogo all’uomo. La carità dell’uomo, come evidenziato nel secondo capitolo del nostro lavoro, è principalmente la risposta alla carità di Dio e quindi verso di lui orientata. Tuttavia la carità si estende anche al piano orizzontale della vita umana, ossia quello dei rapporti interpersonali.
Nella prima risposta alle obiezioni della questione ventitreesima della Somma Teologica, san Tommaso sostiene che la carità che sperimentiamo in questo stato di vita, ossia prima della definitiva nascita al cielo, è soltanto una prefigurazione di quella carità piena di cui godremo nella patria celeste in virtù della piena κοινωνία che avremo con Dio.
Alla luce di ciò ci è possibile comprendere quale grande ruolo occupi l’essere umano nel creato: esso infatti ha «due generi di vita»49, uno interno-spirituale e uno esterno-materiale. Avendo entrambi, l’uomo può godere di un rapporto di amicizia fondato sulla «convivenza»50 da un lato con Dio e gli angeli in virtù della comune vita spirituale, e dall’altro con il creato intero, affidatogli in custodia fin dalla Creazione, in virtù della comune vita materiale. È immediatamente evidente come l’uomo, oltre a godere della convivenza con entrambi gli esseri solamente spirituali e solamente materiali, ne goda più pienamente con gli altri esseri umani, con cui condivide tutta la propria natura. Questo, che è uno degli elementi costitutivi dell’amicizia – ossia la communicatio – viene pienamente realizzato in Cristo: «la carità, come la grazia, deriva a noi da Cristo. La communicatio, che è tra gli elementi costitutivi della carità, avviene solo in Cristo»51. Le piene carità e amicizia tra gli uomini vedono nell’elevazione dell’uomo operata da Cristo con l’incarnazione la condizione necessaria alla propria esistenza: Cristo, assumendo la natura umana, eleva gli uomini alla capacità di imitare tra loro quella stessa relazione che intercorre tra le persone trinitarie.
Ciò che rende possibile la carità tra esseri umani, appurato quanto detto fin’ora circa l’incarnazione del Verbo, è – come già affermato – la comunione della vita, dove «non si tratta né di una messa in comune di beni esteriori, né di una vita in comune. Nel primo caso infatti si tratterebbe di un’amicizia interessata, nel secondo si intenderebbe communicatio semplicemente come la dimensione sociale del vivere»52.

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1 D. Vitali, Esistenza cristiana, fede, speranza e carità, 61.
2 Ivi, 62.
3 Cfr D. Vitali, Esistenza cristiana, fede, speranza e carità, 59-60.
4 D. Vitali, Esistenza cristiana, fede, speranza e carità, 59.
5 D. Vitali, Esistenza cristiana, fede, speranza e carità, 160.
6 Ibid.
7 P. Coda, L’agape come grazia e libertà, 82.
8 D. Vitali, Esistenza cristiana, fede, speranza e carità, 161.
9 Ibid.
10 Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.23-46.
11 F. Baldelli, La divulgazione del concetto teologico di Carità, I, 7.
12 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.23, a.1.
13 Cfr. Ibid.
14 Cfr. F. Baldelli, La divulgazione del concetto teologico di Carità, I, 8;
Cfr. Tommaso d’Aquino, III Sent., d.27, q.2, a.1, ad 7 .
15 Cfr. 1Gv 4, 8; Ger 31, 3; Ef 2, 4.
16 Cfr. Col 3, 14; Rm 12, 10; 1Cor 12, 13.
17 Cfr. 2Mac 14, 26.
18 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.27, a.2.
19 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-I, q.26, a.3.
20 Maggiori precisazioni sulla distinzione tra amore e carità si possono trovare nel Capitolo II.
21 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q.6, a.3.
22 Ibid.
23 Ibid.: «ogni cosa ha una triplice perfezione. La prima consiste nella costituzione del suo essere [sostanziale]. La seconda nell'aggiunta di alcuni accidenti richiesti per la sua perfetta operazione. La terza nel raggiungimento di qualcosa come proprio fine».
24 Ibid.
25 Ibid.
26 1Gv 4, 8.
27 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q.3, a.6.
28 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.27, a.1.
29 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.27, a.2.
30 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q.6, a.2.
31 Atanasio di Alessandria, De Incarnatione, 54, 3.
32 M. Cavani, La carità come amicizia, psicodinamica di una virtù, 20.
33 Ivi, 23.
34 Gen 1, 27.
35 G. Gilleman, Il primato della carità in teologia morale, 170.
36 Atanasio di Alessandria, De Incarnatione, 54, 3.
37 G. Gilleman, Il primato della carità in teologia morale, 170.
38 Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.23, a.1.
39 Cfr M. Cavani, La carità come amicizia, psicodinamica di una virtù, 30.
40 Ivi, 31.
41 M. Cavani, La carità come amicizia, psicodinamica di una virtù, 35.
42 Ivi, 32.
43 Aristotele, Etica Nicomachea, VIII, 14, 1161 b 11.
44 Gv 15, 15.
45 M. Cavani, La carità come amicizia, psicodinamica di una virtù, 39.
46 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.23, a.1.
47 M. Cavani, La carità come amicizia, psicodinamica di una virtù, 43.
48 Ivi, 44.
49 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.23, a.1.
50 Ibid.
51 M. Cavani, La carità come amicizia, psicodinamica di una virtù, 40.
52 M. Cavani, La carità come amicizia, psicodinamica di una virtù, 39.
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