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L'Eucaristia: memoriale d'amore ed eterna riparazione

10 minuti di lettura

Si è più volte detto, sulla scorta di una tradizione avvalorata da documenti e citazioni valide1 (Tolomeo di Lucca2, Guglielmo di Tocco3, gli impliciti rimandi di fra Reginaldo da Piperno al processo di Fossanova, e altri) che a San Tommaso venne commissionata dal Papa Urbano IV la stesura dei testi dell'officiatura e della Messa della solennità del Corpus Domini4.


Per ragioni di sintesi noi prenderemo in esame, stavolta, solamente una parte di questa vasta composizione: l'inno Pange lingua, che si canta in occasione della processione eucaristica di tale solennità e che precede anche la reposizione del Santissimo Sacramento il giovedì santo.
Il testo in questione è un capolavoro di sintesi teologica e dottrinale, che ben interpreta, nelle sue espressioni e nei suoi rimandi, il memoriale che permea questo mirabile Sacramento.


Il testo5:
Pange, lingua, gloriósi
Córporis mystérium,
Sanguinisque pretiosi,
Quem in mundi pretium
Fructus ventris generosi
Rex effudit gentium.

Nobis datus, nobis natus
Ex intacta Virgine,
Et in mundo conversatus,
Sparso verbi semine,
Sui moras incolatus
Miro clausit ordine.

In supremæ nocte cenæ
recumbens cum fratribus,
observata lege plene
cibis in legalibus
Cibum turbæ duodenæ
se dat suis manibus.
Verbum caro, panem verum
verbo carnem efficit:
fitque sanguis Christi merum,
et si sensus deficit,
ad firmandum cor sincerum
sola fides sufficit.

Tantum ergo sacramentum
veneremur cernui,
et antiquum documentum
novo cedat ritui;
præstet fides supplementum
sensuum defectui.

Genitori Genitoque
laus et iubilatio,
salus, honor, virtus quoque
sit et benedictio;
Procedenti ab utroque
compar sit laudatio. Amen.

In questo inno si ripercorre tutta la storia della redenzione a partire dall'incarnazione del Verbo.
Il testo, famosissimo, inizia con l'invito alla lode (pange6) per il mistero del Corpo glorioso e del Sangue prezioso che furono il prezzo del mondo. Già dalle prime battute si può cogliere l'evidente sottolineatura di uno dei fini della santa Eucaristia: il fine riparatorio. Sulla scorta di Sant'Anselmo e di tutta la tradizione teologica dei Padri e dei Dottori, San Tommaso non trascura questo elemento, che richiama il motivo dell'incarnazione e della redenzione. La seconda Persona della Santissima Trinità si è incarnata appunto per attuare quella eterna riparazione umana e divina al tempo stesso, che l'uomo, da solo, non avrebbe mai potuto produrre. Era necessario però che fosse un uomo il riparatore. Ecco quindi il mediatore Gesù Cristo, che nella pienezza dei tempi mette in opera la sua opera di redenzione.
Trattando dell'Eucaristia non si può ignorare un elemento del genere. Il realismo dell'incarnazione viene sottolineato dalle parole immediatamente seguenti: «fructus ventris generosi - frutto del ventre generoso» della Vergine Maria. L'aggettivo “generoso” fa riferimento al fiat pieno e definitivo, totale, generoso della Figlia di Sion, tramite umano dell'incarnazione del Figlio di Dio.
La redenzione è per tutti i popoli, che sono chiamati a essere lavati dal sangue dell'Agnello immacolato (rex effudit gentium).
A noi è stato dato il frutto più nobile dell'umanità, che per noi è nato dalla Vergine illibata; ha sparso il seme della Parola, che una volta riversatosi sul mondo come un fiume in piena, travolgente e inarrestabile, chiuse in modo mirabile il tempo della sua dimora fra noi con il mistero della sua passione, morte e risurrezione.
In pochi versetti l'Aquinate sintetizza l'opera e la missione del Redentore. Ma nella notte precedente la passione, seduto a mensa con i suoi discepoli, avendo osservato pienamente tutti i precetti della Legge riguardo alla Pasqua ebraica, si diede in cibo agli apostoli, spontaneamente, con le sue proprie mani. Proprio come avverrà nel giorno seguente: si darà spontaneamente ai suoi uccisori per essere immolato sulla croce. Nella chiesa di Sant'Antonio in Polesine a Ferrara esiste, nel coro, un affresco molto antico, che raffigura Cristo che sale sereno e vittorioso, mediante una scala, sulla croce. L'immagine non riflette la lettera evangelica, ma rispecchia lo spirito di quelle vicende: il Signore Gesù si è donato spontaneamente e volentieri (libenter, nel suo atto libero e volontario) al Padre per la redenzione del mondo, altrimenti ancora sotto il dominio del peccato e del principe bugiardo di questo mondo.
La parola performatrice del Verbo di Dio-Sapienza cambia la sostanza del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue (gli accidenti del pane e del vino, nel loro sapore, restano, ma la sostanza è mutata: transustanziazione). In questo atto di nuova creazione si deve immaginare la successione di venti secoli di Cristianesimo, come perpetuazione dell'opera di Cristo nella storia. Siamo davanti all'opera grandiosa di Dio-Trinità, che non poteva arrestarsi in un tempo e in luogo, una volta soltanto nella “prima messa” della storia. I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (San Paolo) e hanno bisogno però di essere perpetuati anche negli aspetti sensibili che li dimostrano a chi non saprebbe altrimenti cogliere l'essenza di queste cose così sublimi.
Se anche i sensi venissero meno e rischierebbero di ingannare (riguardo agli accidenti, che permangono nell'Eucaristia) i sensi e quindi anche la ragione, siamo sicuri che la fede basta per rassicurare un cuore sincero, non viziato dalla colpa o ottenebrato dalla malizia. L'anima onesta sa riconoscere le cose di Dio.
L'inno va avanti con un invito continuativo alla adorazione di questo grande Sacramento, dove l'antica legge cede il passo al nuovo rito. Come non vedere qui un riferimento alla Lettera agli ebrei, che tanto diffusamente esprime la novità del Sacerdozio di Cristo e sulla autorità della nuova legge?
È la fede che deve supplire al difetto dei sensi, che colgono ancora gli accidenti. La sostanza è impercettibile ai sensi ma questo mutamento è chiaro per l'anima illuminata dalla grazia e per la ragione illuminata dalla fede.
Il testo si conclude con una dossologia implicita, nella quale non si nominano direttamente i soggetti implicati. Essi vengono nominati mediante le operazioni e le missioni che li legano:
“A Colui che ha generato e a Colui che è stato generato la lode e il giubilo; gli vada salute, onore e forza insieme alla benedizione. A Colui che procede da entrambi sia uguale lode. Amen!”7.

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1 Kenelm Foster, The Life of St.Thomas: Biographical Documents, Longmans, Green, London 1959;
2 Tolomeno da Lucca (Bartolomeo Fiadoni, Vescovo di Lucca), Historia ecclesiastica, 1317.

3 Guglielmo di Tocco, Storia di San Tommaso d’Aquino (Davide Riserbato, ed.), Jaca Book, Milano 2015.

4 Jean-Pierre Torrell, Amico della verità. Vita e opere di Tommaso d'Aquino (Ed. rivista e ampliata), Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2017.

5 Cfr. Inno Pange lingua, Liber usualis missae et offici, Desclee & Co., Tournai 1961.

6 Pange, da pango – is, pepigi, pactum, pangere, è unverbo, qui all'imperativo retorico (o “dolce”), che ben esprime una celebrazione nel canto. Si potrebbe rendere così: “Celebra, o lingua, cantando; esalta con le espressioni più alte della lode” il mistero della fede. Interpretando il verbo nell'accezione normale dell'imperativo si esalta la necessità del fine “eucaristico” (“Il rendimento di grazie a Dio per i doni della creazione e della redenzione”, San Giustino, Dialogo con Trifone).

7 Traduzione letterale del Tantum ergo, Liber usualis, op. cit.

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