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Perché Dio ha lasciato soffrire Gesù sulla Croce?

Davide Damiano / 08 Oct
5 minuti di lettura
Domanda:
Perché Dio ha lasciato soffrire Gesù sulla croce? Gesù stesso chiede al padre il perché lo abbia abbandonato.

Risposta:
Tutte la cristologia e la soteriologia cristiane sono imperniate sull'assunzione dell'umanità da parte di Dio.
La finalità dell'Incarnazione del Verbo, che assunse carne ed anima umane in Gesù, è l'elevazione dell'uomo verso Dio. In una sola parola, questo processo si chiama divinizzazione . Ne parla esplicitamente sant'Ireneo, quando scrive:
«Nostro Signore Gesù Cristo il quale, a motivo della sua immensa dilezione, si è fatto ciò che siamo per fare di noi ciò che egli è» (Adversus Haerses, V, Prefazione)
Dio, fondamentalmente, diventa uomo per realizzare nell'uomo quell'essere a sua «immagine» e «somiglianza» (Gen 1, 26). E se l'«immagine» è data da Dio all'uomo una volta per tutte, imprimendola nella carne e nell'anima umane all'atto della creazione, non è così per la «somiglianza». Come si legge in Gen 1, 27, infatti, Dio crea l'uomo solamente «a sua immagine», senza menzionare la «somiglianza». Quest'ultima, infatti, deve essere realizzata in divenire grazie alla costante relazione dell'uomo con Dio.


Questo realizzarsi della «somiglianza» dell'uomo con Dio tuttavia non può avvenire mediante le sole forze umane: nessun uomo potrebbe infatti diventare come Dio solo con le proprie forze (se non illudendosene). Era dunque necessario che fosse Dio a fare "la prima mossa" di avvicinamento verso l'uomo.

Come le scienze psicologico-umanistiche ci insegnano, esistono tre gradi di avvicinamento:
  • La comprensione, per cui capisco l'altro, ma non necessariamente mi "muovo" verso di lui;
  • La compassione, per cui non solo capisco l'altro, ma mi faccio a lui prossimo percependo le sue stesse cose (da cui il termine «simpatico», che deriva dalla congiunzione dei termini greci «συμ - sym», ovvero «insieme» e «πάθος - pathos», ovvero «soffrire, sentire» e che significa «sentire insieme» o «sentire le stesse cose»);
  • L'assunzione, per cui mi faccio interamente carico dell'altro, prendendolo su di me
Dio, nel volersi avvicinare all'uomo, non si ferma né alla mera comprensione della sua sofferenza, né alla compassione; bensì arriva fino all'assunzione su di sé di tutto ciò che è umano per renderlo «simile» a lui, ovvero per «divinizzarlo».

Da questo deriva il famoso adagio teologico per cui «tutto e solo ciò che è assunto è salvato». Era quindi necessario che Gesù assumesse su di sé tutto ciò che fa parte dell'uomo: anche la sofferenza. Si noti che Gesù non assume il peccato in sé, ma la debolezza umana che lo rende possibile.

Assumendo la debolezza umana, la indirizza in un costante dialogo con il Padre, il quale lo assiste in ogni istante della sua vita, così che attraverso la debolezza umana fosse manifestata la potenza di Dio. Gesù dice infatti a San Paolo: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12, 9).

Gesù quindi, anche poco prima di salire sulla croce, prega nel giardino del Getsemani per conformare la propria volontà umana a quella divina, ovvero per continuare a testimoniare l'amore di Dio per l'uomo anche a prezzo della sua stessa vita.

Riguardo le prime parole del Salmo 22: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», sappiamo che il resto di questo salmo aveva da secoli predetto dettagliatamente quello che sarebbe successo a Gesù:
  • «Ma io sono un verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente» (Sal 22, 7), riferito al rifiuto di Gesù da parte della folla davanti a Pilato (Lc 23, 21)
  • «"Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!"» (Sal 22, 9), riferendosi a coloro che lo avrebbero schernito incitandolo a dimostrare la sua potenza divina liberandosi dalla croce (Lc 23, 35)
  • «Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi» (Sal 22, 17), riferendosi ai buchi scavati nelle mani e nei piedi per appenderlo alla croce (Lc 23, 33)
  • «Si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte» (Sal 22, 19), riferendosi alla spartizione delle vesti di Gesù e alla sua tunica gettata a sorte (Gv 19, 23–24)
Ecco quindi che Gesù si rivolge al Padre con le parole di sconforto proprie dell'agonia prima della morte, ma avendo ben chiaro quale sarebbe stato l'epilogo della vicenda: «Tu mi hai risposto!» (Sal 22, 22). Era infatti usanza del popolo d'Israele intendere citato un intero salmo recitando anche solo le prime parole.

Gesù fa dunque proprio lo sconforto umano del trovarsi in una situazione in cui si sente solo e abbandonato persino dal Padre, il quale avendo scelto di donare all'uomo la libertà, non interviene impedendo ai malfattori di uccidere il giusto (Mt 5, 45). Tuttavia indirizza questo sconforto nella preghiera al Padre e in un atto di pieno e totale affidamento nei suoi confronti, così che anche la morte, assunta da lui, sarebbe potuta essere sconfitta nella divinizzazione dell'uomo e perciò trasformata in risurrezione.

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